Non si pretendeva mica Shakespeare…

La fiction Rai “La Lunga Notte” racconta una delle vicende più torbide e appassionanti (per chi ama il thriller politico) nell’intera storia dell’Italia unita: la caduta di Mussolini e – con lui – del regime fascista, nel pieno di quella terrificante tragedia che fu la II Guerra Mondiale.

Si tratta di una storia che sarebbe piaciuta a William Shakespeare, un po’ Macbeth, un po’ Riccardo III: la tragedia di un tiranno scontroso, lunatico e malato e attorno a lui una corte di famigli che intriga per accaparrare il potere, di alleanze infide, di donne che dietro le tende tramano e cercano di guidare i maschi e sullo sfondo – come un metronomo – il costante e lento avanzare dell’esercito nemico, quasi a dettare il ritmo dell’intera vicenda.

Che versi immortali, che personaggi indimenticabili avrebbe creato Shakespeare. Ma lo spirito del Bardo non ha volteggiato nella stanza del regista e degli sceneggiatori, cucinieri svogliati che hanno impiattato una sbobbosa polpetta senza sugo e senza sapore. La tipica fiction Rai, scritta e diretta male, senza cultura, senza idee, senza coraggio, senza impegno, senza amore per il proprio lavoro. Provo ad argomentare elencando le mancanze stilistiche, storiche, politiche.

  • Un prodotto sciatto. La storia è presentata in modo didascalico, i personaggi sono stereotipati e privi di ogni sfumatura (eppure la vicenda che si sarebbe dovuta raccontare è piena di sfumature); non una sola frase, una sola battuta merita di essere ricordata, probabilmente ChatGpt avrebbe fatto di meglio; non ci sono idee di regia di alcun genere, prevale una visione da “assessorato alla promozione turistica” con frequenti riprese di una Roma meravigliosa, non toccata dalla guerra, tutta strepitose albe e campi lunghi fatti per innamorare turisti in vena di facili emozioni. La scena è piena di donnine intrepide mosse solo da passioni basilari (l’amore e la famiglia) e da maschi indecisi mossi solo da finalità meschine. E con un sacco di inutili sciatterie (Grandi che chiama continuamente il Re “altezza”, come se fosse un qualunque principotto; il quasi calvo Umberto II con un ciuffo ribaldo in mezzo alla fronte; il segretario del PNF Carlo Scorza con dei baffi mai visti prima, un campo lungo del Quirinale con tanto di stendardo presidenziale in bella vista e un campo lungo del Vittoriano con bandiera italiana priva dello stemma di Casa Savoia…). Ma nulla di peggio della storiella d’amore tra il giovane neoantifascista (del Partito d’Azione! guai a far sapere che esisteva il PCI!) e la nipotina di Grandi: inutile, malscritta, prevedibile dal primo secondo all’ultimo, ma probabilmente inserita perché – Boris 4 docet – “algoritmo vuole storia teen!
  • Una storia banalizzata. I personaggi raccontati sono prevedibili e caricaturali e questo porta a frequenti errori: Benito Mussolini non era così fanaticamente legato all’alleanza con i nazisti e neppure così smanioso di versare il sangue degli oppositori (altrimenti lo avrebbe versato, anche senza l’aiuto di un onnipresente capo dell’OVRA inventato di sana pianta), bensì consapevole della drammaticità della situazione, convinto che la guerra con la Russia dovesse in qualche modo essere fermata ma conscio dell’impossibilità di imporre la propria volontà a Hitler. Claretta Petacci è descritta come una olgettina, costantemente in lingerie, che quando parla al telefono (ovviamente rosa) con il Duce lo fa solo se distesa sul letto a pancia in giù e le gambette che oscillano, come Marylin Monroe in Gli uomini preferiscono le bionde, ma con molta meno ironia, tranne nel momento della fuga, quando ricorda Maria Antonietta assediata alle Tuileries. Galeazzo Ciano non era un flaccido stupido ma un uomo cinico, ambizioso, corrotto eppure intelligente, convinto della necessità di farla finita con la guerra e con i nazisti (in questo coerente con la propria posizione del 1939) e sostenitore dell’ordine del giorno Grandi senza tutti quei retropensieri e quei tentennamenti raccontati nella serie. Ridicolo Vittorio Emanuele III spesso seduto sul trono come un re dei cartoni animati, mentre è noto che detestasse lo sfarzo del Quirinale e risiedesse il più possibile a Villa Savoia immerso in un tranquillo ménage altoborghese con la moglie, Elena, così come è noto che l’arresto di Mussolini non fu una pensata del giorno prima, ma un piano messo progettato da tempo, che aspettava solo il momento giusto per essere attuato. Ma soprattutto il protagonista – Dino Grandi – che non si capisce minimamente chi sia e che cosa voglia, perché si stia dando tanto daffare e per ottenere cosa: parlando di lui, tutti dicono sempre “l’ambizioso Grandi”, come se fosse l’unico ad esserlo in mezzo a tante sante statuine del presepe, ma alla fine passa per essere il “buono” della vicenda, quello che vuole a tutti i costi riportare pace e libertà in Italia, forse pure antifascista, certo umano e democratico. Una balla, Grandi fu fascista e il suo disegno politico era salvare il regime eliminando Mussolini, probabilmente per dare vita a un modello di autoritarismo reazionario sul tipo del salazarismo in Portogallo, magari con lui stesso a reggerne le fila.
  • Le ambiguità politiche. La fiction non prende posizione, non assume rischi. Non è raccontata una storia “antifascista”, ma “a-fascista”, in questo in perfetta linea con la società italiana di oggi. Il grande tema dell’antifascismo è ridotto a una polemica tra giovani e vecchi (“ci avete rubato il futuro! ci lasciate un Paese in macerie!”) e il giudizio storico sul Fascismo è lasciato ai fascisti che – sostanzialmente – presentano una lettura che forse pure Giorgia Meloni potrebbe condividere: “il Fascismo serviva per rimettere ordine nel Paese, evitare il caos, per molti anni ha fatto tante cose buone, ma ultimamente Mussolini si è isolato, ha perso io suo tocco magico e va sostituito”. Il Fascismo non “male assoluto”, quindi ma un episodio politico nella storia italiana complessivamente non negativo, peccato per la guerra, altrimenti sarebbe stato più o meno rose e fiori (e gli omicidi di oppositori? la soppressione delle libertà civili e politiche? le guerre di aggressione coloniale? le leggi razziali? tutte vicende non pervenute).

Insomma, d’accordo, non si poteva pretendere Shakespeare, ma che regista e sceneggiatori si fossero almeno presi il disturbo di guardarsi un paio di stagioni di The Crown beh, quello si!

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