Il Tennis, “metafora della vita”

Il Tennis “metafora della vita” è una delle categorie più fortunate di questo blog, una di quelle con i post che amo di più (non dico migliori, quello spetta giudicarlo al lettore, anche se alcuni sono proprio bellini) e che mi sono maggiormente divertito a scrivere.

Si può scrivere di tennis, parlare di tennis ma raramente il tennis ha avuto un ruolo centrale in un film. Talvolta ne è stato motore e scusa, come nel bellissimo Matchpoint di Woody Allen, altre volte si è prestato al genere biopic in modo anche efficace, come in Borg-McEnroe o in Una famiglia vincente, dedicato alle sorelle Williams e al loro padre-padrone, ma non ricordo un film dove l’essenza del tennis, la sua assoluta peculiarità sia analizzata nel dettaglio e trasformata in una storia universale. Fino a ieri sera, almeno, quando ho visto Challengers, di Luca Guadagnino.

ATTENZIONE, SPOILER

Mi ero avvicinato al film in modo circospetto e diffidente, perché il trailer lasciava intendere che la centro della narrazione ci fosse una vicenda pruriginosa tra protagonisti giovani e belli, un ménage à trois per esaltare il quale si sono tirati in ballo altri esempi come Jules o Jim o The Dreamers. Beh, mettiamocelo via: c’è un mènage, sono in trois ma il tema è – appunto – il tennis come “metafora della vita”. La sua dimensione solitaria eppure relazionale, il suo essere così complesso sotto l’apparenza semplice, le diverse modalità con le quali viene vissuto e interpretato, la sua natura a un tempo elegante e violentissima.

Dicevo in apertura che ero diffidente, tuttavia l’ambientazione – un torneo “Challenger“, vale a dire il Purgatorio del tennis, mi sembrava originale, non scontata come sarebbe stata – ad esempio – una trama incentrata sul glamour e il prestigio di Wimbledon, di cui sanno qualcosa anche coloro che non seguono minimamente il tennis. Però non è solo un film per amanti del tennis. Si tratta di un lavoro di ottima qualità, scritto molto bene e recitato altrettanto bene, con una regia elegante – anche se a tratti un po’ gigiona e barocca – con alcune frasi che restano impresse e molti argomenti di discussione nel dibattito post proiezione. Un film bello, molto di più del lezioso Call me by your name, così tanto adulato. E se fosse terminato circa un minuto prima, un minuto solo, avrebbe sfiorato la definizione di capolavoro minore.

Quel minuto in più alla fine, a parer mio, è la sola vera pecca del film.

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