Raccontare la Rivoluzione

Ho iniziato almeno tre volte a guardare “Maria Antonietta“, la serie Sky dedicata alla regina vanesia e sfortunata, sciocchina da giovanissima, figura tragica nella maturità. Il problema è che questa – come tutte le serie dedicate a figure femminili uscite negli ultimi anni – è totalmente priva di originalità e di storicità. Si racconta sempre e solo la stessa storia, banale ma tanto politicamentecorretta: la ragazza peperina e impertinente alle prese con un tetro mondo fatto di regole e vincoli, architettato dai maschi, per i maschi, con le donne eterne vittime. Insomma pistolotti mal costruiti e molto noiosi.

Però il tema è interessante: si può raccontare una vicenda complessa e intricatissima come quella della Rivoluzione Francese senza cadere nel macchiettistico o nel banale? La risposta è sì, purché si rinunci alle serie (soprattutto se prodotte in un Paese culturalmente limitato come gli Stati Uniti) e si guardi al cinema, grande arte visiva del ‘900. E ci sono tre titoli in particolare che considero sempre bellissimi e perfetti per entrare dentro la carne e il sangue del quinquennio più influente della storia europea degli ultimi 1000 anni.

La notte degli inganni

Nella notte tra il 21 e il 22 giugno 1791 l’oscuro giudice monsieur Destez sale incespicando le scale della drogheria di monsieur Sauce, si guarda attorno assonnato e intimidito, compie un paio di passi verso l’uomo vestito da valletto e si inchina dicendo “Buonasera, Maestà!”

«C’erano cinque persone. Il pover’uomo con questa frase li colpì tutti e cinque: il “Buonasera Maestà” fu la ghigliottina per Luigi XVI, Maria Antonietta e Madame Elisabeth; per il delfino l’agonia al Tempio, per Madame Royale, la prigione, l’estinzione della sua stirpe e l’esilio». (Victor Hugo).

Il primo esempio che viene in mente è un gioiello molto italiano: Il Mondo Nuovo (1982), di Ettore Scola, con Marcello Mastroianni e Hanna Schygulla. Si tratta essenzialmente della storia di un giorno, un giorno solo, ma forse le 24 ore più importanti della Rivoluzione – più ancora della Bastiglia – perché segnarono la fine di un’illusione, quella della “Rivoluzione dall’alto”, dell’esplosione controllata in laboratorio. Mi riferisco alla giornata (anzi, alla nottata) tra il 21 e il 22 giugno 1791, quando re Luigi XVI cercò di fuggire da Parigi dove era sostanzialmente detenuto per trasferirsi in una fortezza ai confini con le terre asburgiche, dalla quale negoziare una Costituzione a lui più favorevole.

La fuga del re fu il punto di rottura del doppio inganno: da un lato il sovrano che si fingeva sostenitore della Rivoluzione, mentre in realtà il suo livello di sopportazione era stato già abbondantemente superato da tempo: Luigi voleva riforme nel sistema, non del sistema e quindi l’uguaglianza fiscale la considerava accettabile, ma quella politica con la fine dell’assolutismo regio assolutamente no. Dall’altro lato l’élite rivoluzionaria che non si fidava del re e decise di tenerlo virtualmente prigioniero nella reggia, privando lui e la sua famiglia di ogni forma di autonomia, riservatezza e svago, ma fingendo che no, il re è liberissimo di fare, dire e andare dove vuole, solo che sta tanto bene lì, chiuso in casa alle Tuileries.

Senza farla troppo lunga, il re fugge con la regina, i figli, la sorella e pochi cortigiani al seguito, la fuga sta quasi per riuscire ma al penultimo cambio di cavalli – nel pieno della notte – il sovrano viene riconosciuto e tutta comitiva ricondotta a Parigi in un viaggio interminabile durato oltre 24 ore, compiuto a passo d’uomo e ovunque tra due ali di folla silenziosa e ostile. Per chi è interessato al “minuto per minuto” suggerisco Un re in fuga di Timotht Tackett (Mulino, 2006), per chi invece vuole farsi del bene suggerisco il film che ho citato.

Ne “Il Mondo Nuovo” una carrozza segue quella del re in fuga. All’interno un cinico e disincantato Giacomo Casanova, amatore stanco e in disarmo (Marcello Mastroianni, magnifico come sempre), una nobildonna della corte terrorizzata per la fine del suo Mondo (Hanna Schygulla), Thomas Paine intellettuale illuminista a disagio sia nell’Ancien Regime che nel caos del populismo rivoluzionario (Harvey Keytel). E poi un ragazzo entusiasta della Rivoluzione e del cambiamento in atto, uno scrittore libertino inseguito dai debiti (Restif de la Bretonne) e un prete incerto sul da farsi…

Un microcosmo della Francia negli anni della Rivoluzioni, con le sue passioni, le sue paure, le sue illusioni e le sue delusioni… Un po’ saggio storico, un po’ viaggio picaresco e qualche ricordo di “Ombre Rosse” di John Ford. E una frase magnifica, buttata lì da Casanova-Mastroianni al giovane giacobino:

Come tiranno vi siete scelti il Popolo. Tra tutti i tiranni quello più spietato, capriccioso e imprevedibile.

L’amico difficile

9 Termidoro 1794, Maximilien de Robespierre tentò di parlare, ma la voce ebbe un calo e da qualche angolo della Convenzione qualcuno urlò è il sangue di Danton che ti soffoca! Suprema, definitiva accusa a Robespierre che non replicò oltre, travolto dalle grida di quanti si opponevano al regime del Terrore. 24 ore dopo era morto, ghigliottinato al termine di quello che può essere a tutti gli effetti definito un “colpo di stato parlamentare”.

Su Termidoro si può dire tutto, ma una cosa è certa, Robespierre aveva nelle mani – se non nella gola – il sangue di Georges Jacques Danton, ghigliottinato al termine di una lotta di potere all’interno dell’aristocrazia rivoluzionaria appena pochi mesi prima, nell’aprile del 1794. Gli ultimi mesi di vita di Danton e il suo complicato rapporto con Robespierre sono raccontati da Danton, di Andrzej Wajda con Gérard Depardieu (1983). Un grande film, con una costruzione teatrale, costruito attorno alla personalità debordante di Depardieu, che è perfetto – anche caratterialmente – per rappresentare Danton.

La trama è solo apparentemente semplice: Danton – che non era certo uno stinco di santo – ritorna a Parigi dopo un periodo di esilio involontario per mettere fine alla fase estremista del Terrore e dare alla Rivoluzione uno sbocco più moderato, anche lui – come Luigi nel 1791 – cercava di mettere ordine nel caos, diventando pompiere di quell’incendio che aveva così tanto contribuito ad appiccare (Voglio che finisca il Terrore proprio perché sono uno di quelli che lo ha instaurato urla Danton a Robespierre durante il loro tumultuoso colloquio).

Inizialmente cerca di raggiungere lo scopo attraverso un accordo con Robespierre – la scena dell’incontro a due attorno a una tavola imbandita è memorabile – ma le posizioni sono inconciliabili, Danton tenta allora di riallacciare i rapporti politici con la propria “corrente” e agire sul piano parlamentare, ma il gioco non riesce, i dantoniani vengono dichiarati decaduti dalla Convenzione, arrestati, processati e ghigliottinati, tutto nell’arco di meno di una settimana.

Il film di Wajda – regista polacco ai tempi dell’autoritarismo comunista – racconta l’eterna lotta tra utopismo e realismo, tra compromesso e rigore, tra fanatismo e senso del limite e in questo le poche giornate raccontate rappresentano uno spaccato non solo della Rivoluzione Francese, ma di ogni grande mutamento politico.

Il film si apre con un bambino dentro una tinozza, costretto – a suon di schiaffoni – ad imparare a memoria la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino e termina con lo stesso bambino che recita il Sacro Testo a un Robespierre relegato a letto, vittima del rimorso e della paura.

Chi è il bambino spaventato? la Rivoluzione? la Francia? la Libertà?

L’intrepida cortigiana

Nel 2001 Eric Rohmer portò sullo schermo le memorie della signora Grace Elliott, ex amante del principe di Galles (futuro Giorgio IV) e poi ex amante del Duca d’Orleans trasferitasi a Parigi dove frequenta l’ambiente di corte e mantiene un’amicizia con il Duca anche terminata la loro relazione: un’amicizia intima, affettuosa e leggera, mentre tutto attorno il fuoco della Rivoluzione inizia a divampare.

Grace Elliott – cresciuta in un Paese dove la monarchia costituzionale esisteva da generazioni – inizialmente appoggia la Rivoluzione, fintanto che questa significa porre fine alle ingiustizie più evidenti e crudeli, senza però mettere in discussione il suo mondo fatto di salotti eleganti, riverenze e rendite garantite da uomini potenti.

La parabola della Rivoluzione dalla Festa della Federazione (luglio 1790) alla caduta di Robespierre (luglio 1794) vista attraverso il salotto di Madame Elliott e il suo turbolento rapporto con il Duca d’Orleans, personaggio che la Storia ha costantemente descritto come disperatamente stupido e vile. In scena la vicenda di una donna alla deriva, che di fronte allo sgretolarsi del suo Mondo acquista un coraggio impensato, una determinazione e una rettitudine morale che mai aveva avuto in precedenza.

Il film fu molto controverso perché – tratto quasi letteralmente dalle memorie di Grace Elliot (Journal of my Life during the French Revolution, in versione italiana edito da Fazi Editore, 2001) – offre una lettura aristocratica degli anni della Rivoluzione, mostra l’altro lato della medaglia, accende i riflettori sui perdenti di quell’epica vicenda e li mostra come certo erano: esseri umani spaventati, stracci nella tempesta. Un film che va visto, per tante ragioni ed una in particolare: è visivamente magnifico, con una fotografia raffinatissima, ispirata alla pittura del tardo Settecento e del primo Romanticismo, dal punto di vista strettamente artistico è certo il film più bello dei tre che ho ricordato.

E quindi? si può raccontare visivamente la Rivoluzione? Certo, purché si lasci stare Netflix e ci si volti all’indietro, a Scola, Mastroianni, Depardieu, Wajda o Rohmer…

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Una risposta a Raccontare la Rivoluzione

  1. roy ha detto:

    Ogni tre o 4 anni entro e ci resto un attimino sul tuo sito. Leggo e vado a rivedere. Certo che qualche casino ai tempi che furono te li ho tirati in piedi, oppure ho dato vivacità al sito. Vivacità esasperata ma pur sempre vivacità.

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