Sul Talento. E su come sprecarlo.

Il Genio non è un dono di Dio. E’ una punizione di Dio, un divampare peccaminoso e morboso di doti naturali

Questo post parla del Talento e di come sprecarlo, entrambi temi sui quali sono discretamente ferrato, partendo – come sempre in questa stagione – da riflessioni indotte dal bianco e dal verde di Wimbledon, in particolare seguendo le vicende di Richard Gasquet e del nostro Fabio Fognini, entrambi sconfitti in partite che avevano già (quasi) vinto.

Gasquet è un talento purissimo, cristallino e indiscusso. Ad appena 9 anni si guadagnò la copertina di uno dei periodici di tennis francesi più importanti, vedendosi qualificare come “il campione che la Francia aspetta” e da allora, tutti erano sicuri che, un giorno, il talentuoso Richard, con il suo braccio d’oro e il suo rovescio elegantissimo, sarebbe diventato un big, uno di quei campioni che segnano un’epoca… L’anno dell’esplosione sembrava giunto nel 2007, quando Riccardino aveva appena 21 anni. In quell’anno felice, giunse in semifinale a Wimbledon e raggiunse la posizione n. 7 nella classifica mondiale. Sembrava che “il campione che la Francia aspetta” fosse finalmente giunto. Sembrava. Ma poi… Poi le cose sono iniziate ad andare storte. I risultati si sono fatti altalenanti (a ventanni è comprensibile non avere ancora la solidità mentale del Dalai Lama), i fan si sono messi a scalpitare perché volevano tutto e subito e la stampa si è gettata a masso sul debole pargolo prendendo a bastonarlo come un cucciolo di foca.

RGGran parte del 2008 è passato a smentire le voci di una sua relazione con un uomo d’affari cinquantenne. Non so se le voci fossero vere e – soprattutto – penso che in fondo si trattasse di fatti suoi, ma il tennis è uno sport con una forte componente mentale e trovarsi così giovane a dover parare i colpi improvvisi della stampa gossippara su questioni che esulano la vita sportiva non deve essere stato facile. Infine venne trovato positivo alla cocaina, giunse una lieve squalifica perché le giurie sportive si bevvero la versione che “sono stato baciato alla francese [e come sennò, vista la nazionalità. N.d.A.] da una ragazza drogata durante una festa”. Brillante perché in un colpo solo smentiva sia la droga, che l’omosessualità.

Ma Riccardino si spezzò. Dopo il rientro alle gare non fu più quello di prima… E da allora, sono ormai passati quasi 6 anni, continua a entrare e uscire tra i primi 10, ma non ha più ottenuto continuità. Ormai ha 28 anni ed è chiaro che non sarà mai il “grande campione che la Francia aspetta”. Vincerà ancora partite importanti, vincerà qualche torneo di medio livello, magari nella giornata giusta otterrà pure una vittoria su uno dei “Fab4”. Ma non segnerà la storia del tennis e il suo magnifico, commovente rovescio finirà nell’archivio dei gioielli perduti, perché non sorretto da testa, da continuità, da convinzione, da rigore…

Il caso di Fabio Fognini è totalmente diverso. E’ un discreto giocatore, ha velocità, senso della posizione, un fisico che lo sorregge nei momenti duri, buona solidità da fondo con qualche decorosa incursione a rete. Ma non è un talento purissimo, non è un diamante da sgrezzare come Richard ma – tutt’al più – una pietra dura, un turchese, un’agata o una giada… Belle, alle volte molto belle, ma due passi indietro rispetto a smeraldi o rubini. Non è il giocatore che ti aspetti possa vincere 7 Wimbledon come Federer o 9 Roland Garros come Nadal, ma potrebbe tranquillamente essere un giocatore capace di rimanere tra i primi 8 del Mondo per qualche anno. In fondo, tennisticamente parlando, cos’hanno di più un Berdych o un Nishikori rispetto a Fognini?

Se il problema di Gasquet è la testa, il problema di Fognini è la voglia. Fognini non appare ambizioso, non appare smanioso di emergere, di “fare la Storia”. Intendiamoci, è un suo diritto scegliere di essere ballerina di fila piuttosto che l’étoile, sono decisioni umane nelle quali non entro, così come non me la sento di parlare di “amor patrio ferito” perché il tennis è uno sport individuale e non va sporcato di nazionalismo.

Però Fognini in campo si atteggia a grande campione. Ha spesso i moti e gli scazzi che aveva John McEnroe, senza essere John McEnroe. Spacca racchette, bestemmia, impreca, frigna, fa il malato o la vittima, gesticola, fa smorfie. Insomma, è sgradevole e lo è inutilmente, perché se non ottiene quello che vorrebbe dal suo talento, la colpa è solo che sua. E’ giovane, è fisicamente dotato, è sano, sa giocare, che cacchio manca? Manca l’impegno. Prendiamo Wimbledon, ad esempio… In questo torneo ha sempre giocato malissimo (1 sola partita vinta nelle ultime 4 edizioni) eppure è il torneo più importante del Mondo e lui cosa fa? Invece di prepararlo con fatica, come hanno fatto tutti (da Nadal a Federer, che sui prati non ha nulla da dimostrare a nessuno, avendo vinto l’inimmaginabile), dopo il flop del Roland Garros va in vacanza per 3 settimane, disertando tutti i tornei preparatori (Queen’s, Halle, Eastbourne) e giocando due partite scadenti con avversari di secondo piano per poi perdere in modo grottesco al primo ostacolo serio.

Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta possono stare tranquilli: la loro leadership nel tennis italiano postbellico non verrà messa in discussione neppure da Fognini. Un’altra generazione è saltata e speriamo nei ragazzi nati nella seconda metà degli anni ’90… Perché forse Fognini un giorno entrerà per qualche minuto tra i primi 10 (ne dubito, ma non si sa mai), ma non vincerà mai uno slam… se riuscirà a salire in classifica sarà perché è bravo a far di calcolo: vince tornei insignificanti e floppa nei Big4. Rimarrà un mediocre, molto ricco, ma mediocre…

Il vero tema però è: perché spesso il Talentuoso non si rivela all’altezza delle aspettative? Da chi ha talento ci si aspetta risultati mirabolanti e subito. Ci si aspetta soluzioni brillanti. Ci si aspetta di essere sorpresi e spesso ci si trova delusi, molto delusi… Quello che non capisce chi il talento non ce l’ha è che al Talentuoso le cose riescono talmente semplici e naturali che non ci fa caso, che le svilisce dandole per scontate. Si annoia pure nel fare con facilità quello che agli altri costa fatica…

Così, capita che il Talentuoso non sviluppi l’etica del lavoro, del sacrificio, dell’attesa e della cura quotidiana… Il Talentuoso si scazza in fretta, si distrae e pensa ad altro… O magari spreca il proprio Dono utilizzandolo in contesti impropri, facendo circo di se stesso, offrendosi a palcoscenici non degni di lui e mancando nelle occasioni importanti, superato da mediocri meticolosi e iperattivi. Certo, ci sono anche i grandi talenti sorretti da volontà e costanza (nel tennis Roger Federer, ad esempio… ). Ma sono pochi, la minoranza.

Perché il talento è così… una cosa che non si compra e non si vende. Che si riceve senza merito e si utilizza senza senno.

 

Questa voce è stata pubblicata in Brontolamenti, borbottamenti e invettive, Cose di giornata, Tennis, metafora della vita e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

5 risposte a Sul Talento. E su come sprecarlo.

  1. Bianca 2007 ha detto:

    Amaramente debbo affermare che hai ragione. Come spessiissimo. Mirka

  2. alexsandraclaudia ha detto:

    Avere talento non sempre basta e quasi sempre non si è capaci di utilizzarlo a pieno.
    È come Boris Becker descrive Tomáš Berdych: ” ha un gran talento e tanta potenza, arriva spesso ad un passo dalla vittoria, ma succede qualcosa nella sua testa nel momento chiave del match. È un vero peccato, perché è un giocatore affascinante da guardare.”

  3. vannicam ha detto:

    wow!

    io mi annoto: ” a ventanni è comprensibile non avere ancora la solidità mentale del Dalai Lama ” e ” il talento è così… una cosa che non si compra e non si vende. Che si riceve senza merito e si utilizza senza senno “.

  4. vannicam ha detto:

    wow!

    io mi annoto: ” a vent’ anni è comprensibile non avere ancora la solidità mentale del Dalai Lama ” e ” il talento è così… una cosa che non si compra e non si vende. Che si riceve senza merito e si utilizza senza senno “.

  5. Steve Della Mora ha detto:

    La risposta è molto più semplice: in ogni storia di successo il talento conta solo per il 10%, il resto è composto da lavoro e atteggiamento. E, lascia che te lo dica, questo è un bene…

Lascia un commento